Giunsero così alla rupe destinata, su in alto, in cima a un monte a strapiombo, e lì lasciarono la fanciulla, sola, lì lasciarono le fiaccole, spente con le loro lacrime, con cui s'eran fatti lume e a capo chino rientrarono alle loro case. I poveri genitori, distrutti da tanta sciagura, si chiusero nell'ombra più fitta delle loro stanze votandosi a una notte senza fine. òPsiche intanto, spaurita e tremante, là in cima alla rupe, si struggeva in lacrime, quand'ecco l'alito mite di Zefiro che mollemente spirava e in un vortice lieve le ventilava le vesti, dolcemente la sollevò da terra e sostenendola col suo soffio leggero, giù giù lungo il pendio del monte, la depose nel cavo di una valle in grembo all'erbe e ai fiori.
Psiche dolcemente adagiata su un morbido prato, in un letto di rugiadosa erbetta sentì l'animo suo liberarsi di tutta l'angoscia e placidamente s'addormentò. Dopo aver riposato abbastanza si levò più tranquilla e vide un boschetto fitto di alberi alti e frondosi e una sorgente d'acque cristalline e, proprio in mezzo al bosco, non lontana da quella fonte, vide una reggia, costruita non dalla mano dell'uomo ma per arte divina. Fin dalla soglia ci si accorgeva subito che si trattava della dimora splendida, fastosa di un dio. Il soffitto a cassettoni finemente intarsiati di cedro e d'avorio, era sostenuto da colonne d'oro, le pareti tutte rivestite da bassorilievi d'argento raffiguranti belve e altri animali nell'atto di balzare su chi entrava. Un uomo certamente straordinario, un semidio forse, anzi un dio di sicuro, chi aveva, con un'arte così magistrale, animato tutto quell'argento. Anche i pavimenti di preziosi mosaici spiccavano per la varietà delle composizioni. Beati, oh, sì, veramente beati quelli che avrebbero potuto camminare su quelle gemme e su quei gioielli. D'altronde, anche il resto della casa, in lungo e in largo. era di valore inestimabile: i muri erano formati da blocchi d'oro e brillavano di luce propria, così che quel palazzo risplendeva di per sé anche senza la luce del sole, tanto sfolgoravano le stanze, i porticati, le stesse porte. Tutte le altre cose erano perfettamente intonate alla magnificenza regale di quella casa sì che veramente sembrava che quel divino palazzo fosse stato costruito per il sommo Giove come sua dimora terrena.
Attratta dall'incanto del luogo Psiche s'avanzò, poi fattasi coraggio varcò la soglia e, presa dalla curiosità di quella mirabile visione, si mise a osservare attentamente ogni cosa. Vide così, in un'altra ala del palazzo, loggiati dalla linea stupenda, pieni zeppi di tesori: c'era tutto quanto si potesse desiderare e immaginare. Ma la cosa più straordinaria, più ancora di tutte quelle meraviglie, era che nessuna chiave, nessun cancello, nessun custode difendeva quelle ricchezze. Mentre con sommo piacere ella contemplava tutto questo, sentì una voce misteriosa che le disse: "Signora, perché stupisci di fronte a tanta ricchezza? Ciò che vedi è tuo. Entra in camera e lasciati andare sul letto e comanda per il bagno, come ti piace Queste voci sono quelle delle tue ancelle, pronte a servirti, e quando avrai terminato di prenderti cura della tua persona, non dovrai attendere per un pranzo regale."
Psiche comprese che tutta quella grazia era un segno della divina provvidenza e seguendo le indicazioni delle voci misteriose prima con il sonno poi con un bagno si liberò della stanchezza. Fu allora che vide, poco discosta, una tavola semicircolare già apparecchiata per il pranzo e pensando si trattasse del suo, volentieri sedette. All'istante, senza che nessuno servisse, ma come spinti da un soffio, le vennero recati vini pregiati, svariate pietanze. Non riusciva a vedere nessuno, sentiva solo un rimbalzar di parole é aveva per ancelle soltanto delle voci. Dopo quel pranzo squisito un essere invisibile entrò e cominciò a cantare e un altro ad accompagnarlo sulla cetra ma Psiche non riuscì a vedere nemmeno questa; poi le giunse all'orecchio un concerto di voci: si trattava di un coro, ma anche questa volta la fanciulla non vide nessuno.